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la libertà della street art
Chi di voi, passeggiando per le strade di Firenze, non si è fermato davanti ad un cartello stradale decorato da un disegno divertente? Un David che porta via la sbarra del divieto d’accesso, un cartello che diventa la faccia di un gatto, un obbligo di proseguire dritto molto maleducato, che si mette il dito nel naso. Questi sono solo alcuni esempi delle opere di Clet Abraham, probabilmente il più noto tra gli street artists attivi a Firenze.
E’ stato proprio Clet a iniziare a Firenze questo dialogo che fa interagire il centro storico della nostra città, il caos della segnaletica, con il pensiero critico di chi si oppone alla cecità delle autorità che troppo spesso vogliono sostituire la valorizzazione con dei semplici divieti.
Negli anni Clet ha arricchito il panorama artistico fiorentino e ha ravvivato il tessuto storico della città, mettendolo in dialogo con la sua arte. Ha giocato con la torre San Niccolò cambiandola in un gigante buono grazie ad un naso progettato e montato sulla sua struttura. In alcuni casi le battaglie per la libertà di espressione artistica sono state lunghe e faticose, come dimostra la vicenda di L’Uomo Comune, la scultura di un uomo stilizzato che con fiducia fa un passo nel vuoto, più volte rimossa dal Ponte alle Grazie. Quest’anno L’Uomo Comune è tornato a ispirarci, facendoci credere che è ancora possibile vivere liberi, fiduciosi e spensierati. Questa volta sembra che il Comune abbia finalmente compreso l’importanza di questo gesto artistico per tutti i fiorentini.
Da anni Clet è uno dei miei artisti preferiti. Adoro camminare per le strade di Firenze e trovare i suoi disegni con sempre nuove idee che ispirano, che ci fanno riflettere, che ci permettono di fermarsi un attimo.
Qualche settimana fa con due colleghe e amiche, Cristina di Giorgio dell’Associazione Musei a Colazione e Laura Torsellini della FlorentiArt, abbiamo dato l’assalto allo studio di Clet. Dall’incontro con l’artista è nata una chiacchierata che vogliamo condividere con voi!
Cristina: Innanzitutto grazie per aver accettato di parlare con noi!
A Firenze Lei è noto principalmente per i suoi lavori sui cartelli stradali, ma volevamo chiedere come ha iniziato la sua carriera artistica.
Clet: In Francia ho studiato all’Accademia delle Belle Arti. Poi, per diversi anni, sono stato restauratore di mobili a Roma. Per quasi quindici anni ho lavorato come falegname, finché non sono riuscito a diventare un artista a tutti gli effetti. Quando ho iniziato il lavoro sui cartelli stradali, lavoravo già come artista da almeno dieci anni con grande difficoltà. Quando ho visto l’effetto che suscitavano i cartelli, ho capito di aver svoltato.
Cristina: Perché ha deciso di studiare l’arte?
Clet: Perché il pubblico che apprezza l’arte è prevalentemente femminile, no? [ride] Il segreto, in fondo, è quello! [ridiamo tutti]
Agata: Da quanti anni vive a Firenze?
Clet: Sono quindici anni che vivo a Firenze e dieci anni che lavoro sui cartelli stradali.
Cristina: Da dove è nata questa idea?
Clet: Il lavoro sui cartelli stradali inizia da un’intuizione. Da una parte mi sono accorto, da disegnatore, da chi vuole rappresentare dei concetti attraverso il disegno, che il linguaggio dei cartelli stradali è un linguaggio universale e molto, molto semplice. Come se fosse una ricerca delle origini di un linguaggio comune a tutti. E’ un linguaggio visivo. Ho trovato questo concetto molto interessante. Come comunicare con il numero più grande di persone nel modo più diretto possibile? Per me era come andare alla sorgente della comunicazione visiva. Quindi, mi sono messo a fare dei disegni, giocando con questo linguaggio. Ho avuto alcune idee che mi sembravano interessanti, però all’inizio sono rimaste lì.
Questa cosa è venuta ad incontrare un’altra parte di me, cioè la mia abitudine a non tollerare nessuna forma di imposizione. Mi sono accorto che i cartelli stradali erano la rappresentazione per eccellenza di questa imposizione costante nella nostra vita. Perché lo spazio pubblico è di tutti, ma poi ti accorgi che in ogni strada ci sono delle imposizioni alle quali non si può rispondere. Quindi, i cartelli sono anche poco democratici. E poi in gioco entra Firenze. Firenze, che si vanta di essere una città d’arte, ma che ti bombarda di cartelli stradali. Da una parte a Firenze non si può toccare un muro, non si può fare un tag, perché è blasfemo, ma la città è tappezzata di cartelli stradali.
Agata: Più che altro in maniera abbastanza disorganizzata.
Clet: Sì! Esatto. Secondo me il mio lavoro sui cartelli stradali è nato proprio perché c’è stato questo incontro con Firenze. Cammini per strada, vedi tutto questo caos e dici: “C’è qualcosa che non va”. Non è accettabile. Io non potevo eliminare i cartelli. Non era questo il mio obiettivo. Il mio obiettivo era quello di essere costruttivo. Credo anche nella sicurezza, nelle regole. Non sono contro le regole. Sono contro le imposizioni. Le regole possono essere, a volte, sbagliate. Non puoi impormi una regola che è sbagliata. Dunque questa idea è nata dal connubio tra me, il mio mestiere, le mie conoscenze e questa assurdità di una città che si vanta di essere rinascimentale ma che è piena di cartelli stradali.
Cristina: Lei è mai stato contattato da qualche museo?
Clet: Le istituzioni hanno difficoltà a relazionarsi con me, perché io non ho nessun bisogno di loro. Nel passato ho dovuto subire tutta la loro arroganza, il loro sistema, il blocco. Perché iI sistema dell’arte prevede che qualcuno metta una cornice intorno ad un’opera e stabilisca che questa è arte. E chi l’ha deciso? Questo mi ha sempre irritato, quindi ho scavalcato tutto questo. Se oggi le istituzioni vengono da me con rispetto, sono molto contento.
Agata: Secondo Lei c’è lo spazio per la street art all’interno dei musei? Si possono fare le mostre di street art?
Clet: Secondo me sì. Anzi, penso che la street art sia l’arte della nostra epoca. Dunque, ad un certo punto sarà questa l’arte che vedremo nei musei.
Agata: Dunque non c’è una contrapposizione tra lo spazio urbano e l’istituzione.
Clet: Oggi lo spazio urbano è una forma di rivolta allo spazio museale. Non che io ce l’abbia con i musei o con il concetto del museo. Trovo che sia importante preservare. Proprio per la mancanza della protezione le nostre opere esposte in strada sono in pericolo. Non è un concetto che io condivido. Spesso si dice che l’arte urbana è effimera. Non è che io, volutamente, faccia l’arte effimera. La mia arte è effimera perché c’è chi non la rispetta. Per me la mia arte potrebbe anche essere eterna. Quindi, che ci sia ad un certo punto un riconoscimento e la protezione di queste opere mi sembra giusto. Poi, bene che ci sia anche il tempo per arrivarci, che ci sia questa lotta. L’arte ha sempre avuto questo ruolo di rimettere in questione il passato. E’ in parte il suo ruolo. Perciò, bene che ci sia questa battaglia.
Cristina: Quali sono i suoi riferimenti artistici, sia quelli del passato, sia quelli attuali?
Clet: Ho un riferimento molto chiaro del passato, Bruegel [Pieter Bruegel il Vecchio, n.d.r.], perché guardando le sue opere, che mi sono sempre piaciute, ho capito qual è, almeno per me, il senso dell’arte e della pittura. E’ quello di comunicare dei concetti, a volte anche complessi, al maggiore numero di persone possibili. Lui raccontava delle storie in maniera molto chiara. Tu potevi anche non saper leggere, guardavi le sue opere, facevi lo sforzo di entrarci dentro. Sicuramente le persone che non avevano dei libri, vedendo le immagini di Bruegel, erano talmente incuriosite che ci si avvicinavano e così gli arrivavano dei messaggi. Personalmente ho capito che l’arte è comunicazione, soprattutto comunicazione per chi non ha mezzi. Fare l’arte per l’élite? No! Fare l’arte per l’arte? Neanche! Ma fare l’arte per comunicare, per aiutare gli altri, per regalare delle riflessioni, dei concetti e delle storie.
Cristina: E nell’arte contemporanea?
Clet: Chiaro che c’è la street art! Io ci sono entrato un po’ da solo. Come vi ho spiegato, è stata una cosa interiore che mi ha portato spontaneamente a fare quello che sto facendo. Chiaro che il concetto della street art mi piace e lo difendo. Però, vedo comunque una spaccatura nella street art, tra quella ufficiale e quella non ufficiale. Un’altra delle caratteristiche della street art per me, oltre a scavalcare i meccanismi dei musei, è anche scavalcare i meccanismi commerciali e quelli delle istituzioni. Non vedrete mai un’opera istituzionale che critichi le istituzioni. Quindi, la street art ufficiale è la street art che viene un po’ ammorbidita, appiattita.
Qualche anno fa sono stato a Belfast per lavoro. Lì ho trovato tanti muri dipinti con le immagini che parlavano della Palestina, dell’Irlanda. A prescindere dalla mia posizione personale su determinati conflitti, mi è piaciuto vedere questi dipinti molto semplici i cui autori cercavano di rivendicare il loro pensiero. Ecco, per me questi dipinti sono più belli dell’opera di Obey. Obey è bravissimo, ma oggi è molto ripulito, molto politicamente corretto. Mi fa vibrare meno anche se è molto più bravo a dipingere rispetto agli autori che ho visto a Belfast.
La bella street art per me è quella illegale, quella che mantiene la sua libertà. E’ proprio questo che trovo interessante nella street art: non il fatto che sia per strada ma che sia libera!
Agata: Come lui [indicando la statua di L’Uomo Comune, esposta sulla parete, n.d.r.]
Clet: Come lui! Ecco! La sua vicenda è stata lunga ma sono contento della situazione attuale.
Laura: Alla fine ce l’abbiamo fatta!
Clet: Mi piace questa cosa! Ce l’abbiamo fatta! Questo è un aspetto bello della street art illegale. Non la faccio da solo. Io magari faccio l’arte ma questa va avanti perché ci siete voi, e quindi diventa un lavoro di squadra. Nel caso di L’Uomo Comune i fiorentini non si sono tirati indietro!
Agata: Mentre il posizionamento di L’Uomo Comune sul Ponte alle Grazie è stato ostacolato dalle autorità, il Suo progetto del naso sulla Torre di San Niccolò è stato realizzato in collaborazione con il Comune, vero?
Clet: Sì, questo progetto è stato sostenuto dal comitato di San Niccolò. Il naso per me è l’opera più bella che io abbia mai fatto! La trovo molto poetica, molto pura. E’ stato un gesto dell’amore verso il mondo.
Laura: Secondo Lei c’è un quartiere di Firenze che Lei trova più promettente, dove si vedono delle iniziative di persone che si mettono in gioco?
Clet: Io ho sempre amato Santo Spirito come quartiere per le sue caratteristiche alternative. Però, qui, a San Niccolò non ci sono arrivato per caso. Purtroppo questo quartiere è stato svenduto, questo è molto deludente. Durante la pandemia qui non c’era più nessuno.
Cristina: Cosa pensa invece dell’idea che con la street art si possano riqualificare dei quartieri? Non è un po’ limitativo?
Clet: Certo che è limitativo! Alla street art vengono dedicati dei posti brutti, dei sottopassaggi, che poi diventano meravigliosi. Ma lo diventano, perché c’è la street art. Ci vuole comunque maggiore considerazione. Io vado a lavorare in periferia e mi piacerebbe lavorarci di più, ma se mi si propone un progetto di riqualificazione, non ci sono.
Laura: Perché la riqualificazione è un’altra cosa. Riqualificare vuol dire offrire dei servizi.
Clet: Esatto. Coprire la miseria non porta alla riqualificazione.
Agata: Ci sono delle città nelle quali i suoi cartelli rimangono?
Clet: Milano, per esempio. Milano è stata una città che mi accolto subito. Anche a Roma, però! A Roma non mi sono mai state proposte delle collaborazioni ma vedo che i cartelli rimangono. C’è chi dirà che succede per pigrizia. In parte è vero, ma a Roma comunque c’è un altro spirito. Roma è molto più grande, i cartelli si perdono un po’ nel caos. La città ha un bello spirito popolare e ha un altro rapporto con la street art rispetto a Firenze.
Laura: Le volevo fare una domanda un po’ diversa. Come si fa a stimolare nei bambini e nei ragazzi il gusto di essere ribelli senza essere vandali?
Clet: Difficile! Ho tre figli maschi! Ho cercato di trovare una formula che fosse un’arma nell’affrontare le situazioni difficili con i miei figli. Il fatto è che l’arte costruisce e il vandalismo distrugge. E’ vero che per fare l’arte bisogna a volte distruggere e fare piazza pulita ma questo succede con l’intento di costruire qualcosa dopo. Il vandalismo si ferma alla distruzione. Distruggere è facile, costruire no!
Cristina: Cosa pensa Lei degli street artists che vogliono rimanere anonimi? Lei ci mette la faccia! A volte ci ha rimesso anche economicamente.
Clet: Nascondersi dal punto di vista del marketing è una scelta vincente. Crea il mistero. Io volevo metterci la faccia, perché volevo far vedere che quello che stavo facendo non era un male. Volevo rivendicare il mio lavoro e avere l’occasione per poterne parlare. Perché avrei dovuto nascondermi? Ho pensato che così sarei stato più costruttivo. Però, dal punto di vista del marketing è sbagliatissimo! Se avessi avuto l’intuizione di nascondermi, oggi sarei in un’altra situazione. Ormai è troppo tardi [ridendo]!
In alcuni casi, la scelta di nascondersi è anche un fatto caratteriale. E’ faticoso, se riscuoti un po’ di successo, affrontare le cose in maniera aperta e trasparente. Posso capire che le persone vogliono avere un po’ di privacy.
Cristina: Grazie mille per il suo tempo! E’ stato davvero molto gentile!
Clet: Grazie a voi!
Se volete conoscere meglio l’arte di Clet e degli altri street artists fiorentini, contattateci! Saremo felici di organizzare per voi una passeggiata alla scoperta di Firenze da un punto di vista diverso!