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Arte, Storia e spiritualità francescana
Firenze è molto più che gli Uffizi! A ogni angolo la città ci riserva dei veri tesori: una statua, un tabernacolo o qualche bell’affresco. E poi ci sono le chiese fiorentine, che conservano innumerevoli capolavori, tracce della lunga e prospera storia della città. Una di queste è la chiesa francescana di Santa Croce, fondata alla fine del XIII secolo subito fuori della mura della città nella vasta area abitata dai lavoratori impiegati nella produzione tessile, che si occupavano della pulizia, cardatura, filatura, tessitura e tintura della lana. I francescani indirizzavano la predicazione a questo gruppo sociale scarsamente rappresentato dal governo.
L’ordine dei francescani venne fondato da San Francesco d’Assisi, il figlio di un ricco mercante che, ad un certo punto della sua vita, decise di rifiutare tutti i beni terreni e scelse di vivere tra i poveri predicatori e di diffondere la conoscenza del Vangelo. Il numero dei suoi seguaci crebbe rapidamente e, non molto dopo l’inizio della sua attività, Francesco dovette scrivere una regola che i suoi seguaci dovevano iniziare a seguire. Il nuovo ordine venne poi ufficialmente riconosciuto dal papa nel 1210.
San Francesco morì nel 1226 e dopo la sua morte l’influenza dell’ordine crebbe costantemente. I Francescani si diffusero in tutta Italia ed Europa. Alla fine del XIII secolo essi arrivarono a Firenze e si stabilirono fuori dalla mura della città, nella vasta area abitata da persone umili impiegate, appunto, nella produzione tessile.
La chiesa, costruita per i monaci, venne dedicata alla Croce Santa e venne probabilmente progettata da Arnolfo di Cambio, lo stesso architetto che aveva iniziato la costruzione del Duomo di Firenze e aveva progettato il Palazzo dei Priori (oggi Palazzo Vecchio). La chiesa venne terminata circa nel 1335 e consacrata nel 1443 da papa Eugenio IV.
Nell’area di Santa Croce non vivevano soltanto i lavoratori più poveri del settore tessile, ma anche alcune importanti e ricche famiglie di mercanti e banchieri. Tra loro c’erano i Bardi, i Peruzzi, gli Alberti e i Cavalcanti. Queste ricche famiglie iniziarono presto a supportare la chiesa e a essere coinvolte nella sua decorazione.
Nel XV la chiesa iniziò ad assolvere ad una nuova funzione, ossia accogliere le spoglie dei fiorentini più illustri: Leonardo Bruni, umanista, storico e cancelliere della Repubblica Fiorentina, venne sepolto qui nel 1444, Michelangelo nel 1564 e Galileo nel 1642. Con il trascorrere del tempo Santa Croce divenne una sorta di Pantheon italiano e oggi ospita le tombe degli italiani più importanti, come poeti, scrittori, artisti, compositori.
La Cappella Bardi
Durante il XIII e XIV secolo i Bardi erano una delle famiglie più ricche e influenti di Firenze: erano banchieri e mercanti e fino al 1345 la Compagnia dei Bardi era l’azienda commerciale più grande di Firenze, che commerciava lana, vino, olio e prestava denaro su interesse. Uno dei loro clienti era il Re d’Inghilterra Edoardo III, che ricevette l’aiuto finanziario dei Bardi per la guerra dei Cento Anni. Dal momento che questo denaro non venne mai restituito, i Bardi finirono in bancarotta nel 1345, così come accadde ai loro principali concorrenti, i Peruzzi. La crisi delle banche dei Bardi e dei Peruzzi causò il declino economico di Firenze e sulla macerie di queste due compagnie di commercio e di finanza i Medici e gli Strozzi iniziarono a costruire la loro fortuna.
Nel 1320, all’apice del loro successo, i Bardi commissionarono a Giotto, un pittore già ben noto e riconosciuto, la decorazione della loro cappella in Santa Croce. Giotto dipinse sulle pareti le Storie di San Francesco. Questi affreschi ci permettono di capire in cosa consiste la rivoluzione pittorica di Giotto. Se guardiamo le figure dei frati radunati attorno al corpo di San Francesco, possiamo ammirare il realismo di Giotto: le facce dei frati sono dipinte con grande attenzione per i dettagli e le espressioni, tanto che sembrano ritratti di persone reali più che una schematica rappresentazione di un essere umano.
Se si guarda alla scena superiore, che mostra San Francesco che appare ai suoi frati ad Arles, si possono notare le innovazioni di Giotto in termini di rappresentazione spaziale: il pittore costruì lo spazio della sala capitolare di Arles usando la prospettiva intuitiva; in primo piano, per rinforzare l’impressione di profondità, dipinse i frati, visti da dietro, che guardano San Francesco mostrando le spalle allo spettatore.
Ciò che amo di questa cappella sono anche i colori. La paletta di Giotto è calda e calma. Il pittore scelse i colori della terra: marroni, beige, grigi e costruì le scene che sono fortemente bilanciate cromaticamente.
Il Crocifisso di Donatello
Il crocifisso ligneo di Donatello si trova nel transetto sinistro della chiesa. Giorgio Vasari, nelle sue Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, racconta la storia di quest’opera del giovane Donatello.
Secondo Vasari, dopo aver completato il crocifisso, lo scultore volle mostrare la sua creazione al suo migliore amico, Brunelleschi. Probabilmente Donatello si aspettava che Brunelleschi avrebbe lodato le sue abilità e il suo gusto estetico; in realtà poi ricevette delle severe critiche: Brunelleschi disse che Donatello aveva messo in croce un vile contadino, e quindi invitò l’amico ad andare, poche settimane dopo, nel suo laboratorio a ammirare un Cristo scolpito in modo più consono.
Un giorno, così, Donatello si recò a pranzo da Brunelleschi portando delle uova nel suo grembiule. Brunelleschi aprì la porta e mostrò all’amico un crocifisso lineo che aveva appena finito. Donatello rimase così colpito e sconvolto che fece cadere a terra tutte le uova: dovette ammettere che il crocifisso era fatto con somma arte e perfezione.
Il crocifisso di Brunelleschi ricordato da Vasari è quello che oggi si trova in Santa Maria Novella, nella Cappella Gondi. La storia di Vasari potrebbe apparire come un aneddoto divertente e romanzato, ma, in realtà, ci permette di comprendere alcuni aspetti fondamentali dell’arte fiorentina: i due crocifissi testimoniano la duplice tendenza artistica dell’arte di questo periodo a Firenze, soprattutto per quanto riguarda l’approccio e il trattamento della figura umana, l’idea di cosa sia l’arte sacra.
L’opera di Donatello di Santa Croce è una preziosa testimonianza dell’interesse dell’artista verso il realismo: egli era un attento osservatore del mondo circostante; nella sua arte lui cercava sempre di imitare la natura nel modo più preciso possibile. Brunelleschi, invece, concepiva l’arte come una forma di astrazione e di perfezione matematica, che trasformava le forme della natura attraverso la mente, purificandole e idealizzandole.
Le opere dei due artisti, quindi, mostrano queste due diverse concezioni dell’arte fiorentina del Quattrocento.
La tomba di Michelangelo
Michelangelo morì a Roma nel 1564, quasi ottantanovenne. Per molto tempo, prima della sua morte, l’artista era consapevole della sua età molto avanzata e si preparava alla conclusione della sua vita. Già nel 1547 aveva iniziato a lavorare a una Pietà da porre sulla sua tomba: questa è la Pietà Bandini, conservata oggi al Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Michelangelo non completò mai questa scultura, anche perché il blocco di marmo scelto per l’opera era tanto duro da rendere impossibile all’artista la sua esecuzione.
Un giorno, in un attacco di frustrazione, Michelangelo cercò di distruggere la Pietà, e causò molti danni alla scultura, anche se, fortunatamente, l’opera venne salvata grazie all’intervento di Francesco Bandini, che portò l’opera nella sua bottega e assunse lo scultore Tiberio Calcagni per farla riparare e per far rimettere a posto i pezzi danneggiati dal maestro.
Dopo la morte di Michelangelo, Giorgio Vasari tentò di ottenere la statua da Bandini, affinché essa potesse essere posta sulla tomba dell’artista. Il tentativo, però, naufragò.
Visto che il corpo di Michelangelo venne trasferito a Firenze e sepolto in Santa Croce, Vasari progettò la sua tomba monumentale che include il busto di Michelangelo e le allegorie delle arti: pittura, scultura, architettura piangono la perdita del grande maestro.
Crocifisso di Cimabue
Nella sacrestia della chiesa possiamo ammirare il crocifisso dipinto di Cimabue, la vittima più illustre dell’alluvione del 1966. Questo crocifisso è l’opera d’arte più antica conservata in Santa Croce: venne dipinta nel 1265 da Cimabue, il maestro di Giotto, e segna un importante passaggio nella storia della pittura medievale. Il lavoro di Cimabue testimonia l’interesse dell’artista verso il chiaro scuro , una resa più realistica dei corpi dell’uomo e una rappresentazione più intensa delle emozioni e dalla sofferenza di Gesù.
Fino al 1966 il crocifisso era conservato di fronte alla cappella maggiore. Durante l’alluvione, l’impeto dell’acqua e del fango trascinò via il crocifisso che venne salvato dagli “angeli del fango”. I danni, però, erano enormi. Venne perso il 60% della superficie dipinta. Il restauro riuscì a conservare le parti rimanenti, ma l’aspetto originale di questo capolavoro è perso per sempre.
Questi sono solo alcuni dei capolavori conservati in Santa Croce. Durante la visita, non dimenticate di ammirare anche la Cappella Pazzi progettata da Brunelleschi, la cappella Medici con il Cristo nel Limbo di Bronzino, la tomba di Galileo e l’Annunciazione Cavalcanti di Donatello. La visita in Santa Croce è un viaggio indimenticabile attraverso i secoli dell’arte e della storia.
Informazioni pratiche:
Orari di apertura: Da Lunedì al Sabato dalle 9.30 alle 17. La Domenica dalle 14 alle 17.
Biglietti – 8 euro (adulti), 6 euro (ragazzi dagli 11 ai 17 anni, gruppi), gratis (bambini sotto gli 11 anni).
Sul sito di Santa Croce si possono trovare tutte le informazioni aggiuntive.
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