Firenze e l’invenzione della prospettiva lineare

Vi ricordate le lezioni di disegno quando eravate a scuola, quando il vostro insegnante vi spiegava come si disegna uno schema corretto di prospettiva con un punto di fuga centrale?

Come disegnare in prospettiva?

Per disegnare in prospettiva, bisogna prima tracciare la linea dell’orizzonte, scegliere il punto di fuga e poi alla fine costruire le linee di fuga. All’interno di questo schema collocavate poi tutti gli oggetti che volevate disegnare: l’interno di una stanza, un panormana o una vista su una città. In effetti la prospettiva centrale è un metodo di disegno che permette di rappresentare come gli oggetti appaiono più piccoli in base a quanto più sono posti lontani nello spazio. Grazie alla prospettiva si può riprodurre sul piano di un foglio gli oggetti tridimensionali. In questo modo essi appaiono realistici e il vostro disegno dà l’impressione della profondità. Ho fatto per voi questo semplice schizzo (lo so, non sono una grande disegnatrice) per farvi vedere come funziona  la prospettiva.

Example of a one-point perspective scheme.
Esempio dello schema di prospettiva centrale.

Che ci crediate o no, l’introduzione di questo schema, che ovviamente può essere reso anche molto più complesso, fu una vera e propria rivoluzione nella pittura occidentale, una rivoluzione che avvenne proprio in Toscana.

La prospettiva intuitiva

Fin dai tempi di Giotto, infatti, i pittori toscani avevano iniziato a usare la cosiddetta prospettiva intuitiva. Ciò significa che essi iniziarono a costruire spazi tridimensionali attraverso l’utilizzo di linee di fuga, nei quali potevano collocare i protagonisti delle loro storie. Inizialmente queste linee non convergevano in un unico punto. In alcuni casi, come per sempio nella Nascita della Vergine di Piero Lorenzetti, lo schema prospettico diventò abbastanza complesso, ma continuava  a basarsi su molteplici punti di fuga. Gli artisti non riuscivano a coordinare l’intera composizione in uno schema coerente con un singolo punto di fuga. Facendo così, riuscivano a rappresentare uno spazio tridimensionale convincente ma i loro dipinti non suscitavano l’illusione ottica della profondità.

Piero Lorenzetti, Birth of the Virgin, 1342, Siena, Museo dell'Opera del Duomo.
Piero Lorenzetti, La nascita della Vergine, 1342, Siena, Museo dell’Opera del Duomo.



Brunelleschi e le tavolette prospettiche

La situazione iniziò a cambiare quando, all’inizio del ‘400 a Firenze, un gruppo di amici – Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio – iniziarono a sperimentare le potenzialità illusive della prospettiva lineare. La ricostruzione di come questa rivoluzione avvenne, e di come questi tre creativi elaborarono un coerente metodo prospettico è piuttosto complessa.

La storia di questa invenzione è stata ricostruita usando due differenti tipi di fonti: da una parte gli studiosi analizzarono alcuni lavori di Donatello e di Masaccio dell’inizio del secolo e osservarono la graduale evoluzione dello schema prospettico; dall’altra, studiarono la biografia di Brunelleschi scritta attorno al 1480 da Antonio Manetti, che contiene alcune preziose informazioni sugli esperimenti prospettici dell’architetto.

Nel suo raconto Manetti descrive due tavolette prospettiche costruite da Brunelleschi e utilizzate per dimostrare il potere illusivo della prospettiva.

La prima tavoletta rappresentava il Battistero di Firenze e doveva essere guardata stando alla porta della cattedrale, tenendosi di fronte il Battistero. Al centro della tavoletta c’era un foro. Lo spettatore doveva tenere la tavoletta vicina all’occhio e uno specchio nell’altra mano: in questo modo egli poteva osservare, attraverso il foro, l’immagine dipinta del Battistero riflessa nello specchio, che in questo modo sostituiva in maniera perfetta la visione del vero Battistero. La parte superiore della tavoletta, corrispondente al cielo, era ricoperta da un sottile strato di argento nel quale si rifletteva il cielo. L’immagine riflessa del cielo, animata dal movimento delle nuvole spinte dal vento, avrebbe completato la visione osservata dallo spettatore accrescendo l’effetto illusivo e immersivo dell’esperimento.

Brunelleschi's perspective panel.
Il funzionamento della tavoletta prospettica di Brunelleschi.

C’era una seconda tavoletta prospettica che rappresentava il Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria così come si presentavano dall’ingresso alla piazza dall’attuale Via Calzaiuoli. La tavoletta era rettangolare e doveva essere tenuta con due mani. La parte superiore del dipinto mancava e il bordo della tavoletta corrispondeva alle sagome degli edifici della piazza. Lo spettatore doveva guardare l’immagine stando in Piazza della Signoria e doveva trovare il punto esatto nel quale l’immagine dipinta coprisse perfettamente gli edifici reali. In questo modo il cielo vero avrebbe completato l’immagine, rendendo il tutto più realistico e rafforzando ulteriormente l’effetto illusivo.

Gli studiosi hanno scritto molte pagine su questi esperimenti[i], poiché le tavolette di Brunelleschi erano davvero degli oggetti del tutto insoliti per l’epoca: non erano semplici dipinti, ma veri e propri strumenti ottici, progettati per interagire con lo spettatore in luoghi ben definiti e il loro significato era correlato alla loro funzione di produrre effetti illusivi.

Per dipingere queste tavolette, Brunelleschi doveva conoscere la geometria della proiezione prospettica. Ciò significa che perché le tavolette producessero davvero l’effetto ottico voluto, Brunelleschi doveva saper calcolare le distanze e le proporzioni tra l’architettura e le tavole di legno sulle quali venivano dipinti gli edifici. Egli misurò, quindi, le distanze dai punti di proiezione agli oggetti rappresentati, coordinando la dimensione delle tavolette, alla distanza della proiezione e alla dimensione degli edifici che voleva rappresentare.




Donatello, Masaccio e i primi esperimenti con la prospettiva

Questi esperimenti avvennero attorno al 1419. Proprio in questo periodo il più grande amico di Brunelleschi, Donatello, scolpì la statua di San Giorgio per la facciata di Orsanmichele. Il tabernacolo che ospita la statua venne decorato con un bassorilievo raffigurante la scena di San Giorgio che combatte contro il Drago. Sul lato destro della composizione lo scultore collocò un portico, fortemente influenzato nella froma dall’architettura classica, e la figura della principessa che osserva la cruenta battaglia.

In questo bassorilievio, per la prima volta, l’architettura e la figura umana obbediscono alle regole della proporzione e della geometria. Il portico e la figura della principessa seguono lo schema prospettico e le invisibili linee di costruzione si incontrano in un unico punto di fuga. In più, Donatello applicò al rilievo la sua particolare tecnica dello schiacciato o stiacciato. Egli rappresentò la profondità usando vari livelli di rilievo: gli oggetti più vicini all’osservatore sono scolpiti in alto rilievo e il rilievo diventa sempre più superficiale man mano che sono rappresentati gli oggetti più lontani. La sua particolare tecnica sarà poi utilizzata anche da Ghiberti nella sua celebre Porta del Paradiso realizzata per il Battistero tra il 1425 e il 1452.

Donatello, St. George fighting against the dragon, bas-relief, ca. 1417, Orsanmichele (orignal in the Bargello Museum).
Donatello, San Giorgio combatte contro il drago, bassorilievo, 1417 ca., da Orsanmichele (l’originale è custodito oggi al Bargello).

Tuttavia, in questo bassorilievo per il tabernacolo di San Giorgio, Donatello non usò la prospettiva per coordinare l’intera composizione. La prospettiva, infatti, governa solo una parte della scena.

Fu solo attorno al 1427, quando Masaccio dipinse la Trinità in Santa Maria Novella, che un coerente schema di prospettiva centrale, coordinato intorno ad un unico punto di fuga, venne applicato in pittura per organizzare l’intera composizione di un dipinto. Questo affresco fu una vera e propria rivoluzione. Sulla parete, nella parte inferiore dell’affresco, è rappresentato un sarcofago e le due colonne che sorreggono un altare. Sull’altare vediamo inginocchiati i due donatori. Dietro ad essi si apre una cappella con all’interno un secondo altare. Dio Padre si erge in piedi sull’altare e tiene di fronte a lui Cristo sulla Croce. Lo Spirito Santo, nella figura di una colomba, vola tra essi. Sotto la croce si trovano San Giovanni Evangelista e la Vergine Maria che guarda verso lo spettatore e indica, con le sue mani, il corpo del figlio.

Lo spazio dipinto della cappella venne proiettato sulla parete con una tale precisione matematica che è possibile ricostruire la grandezza del cuboide dipinto nell’affresco. La complessità geometrica della proiezione e i dettagli architettonici rappresentati nell’affresco hanno indotto gli studiosi a ritenere che fu Brunelleschi stesso a calcolare e disegnare la cornice architettonica della scena. In effetti, l’architettura dipinta da Masaccio asomiglia molto ai progetti di Brunelleschi per la Sagrestia Vecchia, la Basilica di San Lorenzo e la Cappella dei Pazzi. In più, la competenza matematica di Brunelleschi è confermata dal successo dell’architetto nell’impresa della costruzione della cupola della cattedrale. Possiamo quindi concludere che le ipotesi sul coinvolgimento di Brunelleschi nella Trinità di Masaccio sembrano altamente plausibili.

Con la Trinità le basi teoriche per la costruzione di uno coerente schema prospettico furono ormai completamente elaborate; ma era necessario compiere un passaggio in più per rendere questa pratica ampiamente conosciuta e usata dagli artisti esterni all’ambito fiorentino e alla stretta cerchia di Brunelleschi, Donatello e Masaccio.  Ciò di cui questi artisti avevano bisogno era un’autorità che desse rilevanza alle loro invenzioni. Qualche anno dopo la conclusione dell’affresco di Masaccio, Brunelleschi ebbe la fortuna di incontrare una persona, capace di promuovere questa novità dell’arte fiorentina.

Leon Battista Alberti e il trattato Della pittura

Questa persona era Leon Battista Alberti,un umanista e intellettuale, discendente da un’antica famiglia fiorentina. A dispetto delle sue origini fiorentine, Alberti era nato e vissuto fuori dalla città dal momento che la sua famiglia era stata bandita da Firenze per motivi di lotte politiche. Nel 1432 Leon Battista fu nominato abbreviatore alla corte del papa Eugenio IV. Fu allora che probabilmente egli tornò a Firenze, almeno per un periodo più lungo: infatti nel 1431 l’atto di esilio per la famiglia degli Alberti fu cancellato e Leon Battista poté tornare nella sua patria. A Firenze egli conobbe Donatello e Brunelleschi, il quale stava per terminare la costruzione della cupola. Sfortunatamente, poté conoscere Masaccio solo attraverso la sua arte, gli affrechi della Cappella Brancacci e la Trinità di Santa Maria Novella, dal momento che il giovane artista era morto nel 1428.

Alberti, affascinato dalla cultura classica, riconobbe e ammirò la novità artistica realizzatasi a Firenze. Dopo il suo soggiorno in città, egli cominciò a lavorare a un trattato sulla pittura – Della pittura – nel quale mise ordine e codificò il metodo prospettico di Brunelleschi.

Grazie alla sua cultura umanistica e alla profonda conoscenza pratica della teoria ottica medievale, Alberti riuscì a fare una descrizione coerente del meccanismo della prospettiva. Egli offrì un più ampio contesto teorico dell’invenzione e, facendo ciò,  legittimò l’uso della prospettiva e ne confermò il suo peso intellettuale. Inizialmente Alberti scrisse il trattato in volgare [ii], per poi tradurlo in latino. In questo modo il trattato poteva svolgere due differenti funzioni: da una parte il testo poté circolare tra gli artisti che volevano imparare il metodo prospettico e applicarlo nelle loro botteghe; dall’altra, la versione latina circolò tra le corti, tra gli umanisti e gli intellettuali. Tutto ciò portò la conoscenza della prospettiva anche ai committenti e alle persone interessate alla riscoperta dell’atichità classica.

Grazie al Della pittura di Alberti la conoscenza della prospettiva divenne più accessibile e questa tecnica poté davvero estendersi anche al di fuori della cerchia che l’aveva elaborata. In effetti, dopo il 1435 le pitture che applicarono la prospettiva divennero sempre più frequenti. In pochi anni la prospettiva divenne quasi una norma e i pittori che miravano a commissioni prestigiose dovevano possedere le abilità necessarie per usare la prospettiva in modo appropriato. Alcuni artisti mostrarono un particolare interesse per questo nuovo strumento: tra loro Paolo Uccello, Piero della Francesca e Leonardo da Vinci. Piero scrisse il suo trattato De prospectiva pingendi attorno al 1474 e Leonardo incluse alcune considerazioni sulla prospettiva al suo Trattato della pittura, pubblicato dopo la sua morte. La prospettiva divenne così una tecnica ampiamente conosciuta e usata, ma la sua storia ebbe origine a Firenze ed è qui che possiamo tracciare la sua nascita passo dopo passo.

Vuoi conoscere Firenze? Contattami! Sarò felice di guidarti tra la sua storia e l’arte!

[i] Alcuni suggerimenti di lettura sull’argomento dell’invezione della prospettiva: R. Arnheim, Brunelleschi’s Peepshow, “Zeitschrift für Kunstgeschichte no. 41 1978, pp. 57-60; S. Y. Edgerton Jr., The Renaissance rediscovery of linear perspective, New York 1975; M. Kemp, Science, Non-Science and Nonsense: The Interpretation of Brunelleschi’s Perspective, “Art History” no. 2 1978, pp. 134-161.

[ii] L. Bertolini, Sulla precedenza della redazione volgare del De pictura di Leon Battista Alberti, in Studi per Umberto Carpi. Un saluto da allievi e colleghi pisani, ed. M. Santagata, A. Stussi, Pisa, 2000, pp. 181-210.