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La libertà di un anziano maestro
L’arte del Rinascimento parla raramente la lingua della libertà. Gli artisti medievali e rinascimentali di sicuro non erano liberi. Lavorando su commissione per le istituzioni ecclesiastiche, le confraternite e per i ricchi mecenati, gli artisti avevano ben poca voce in capitolo per quanto riguarda il soggetto delle loro creazioni o la qualità e i costi dei materiali che usavano. Se lavoravano a un’opera religiosa, l’iconografia tradizionale influenzava pesantemente la loro immaginazione e creatività: riuscite a immaginare San Pietro senza le sue chiavi o Maria vestita di verde e bianco invece che di blu e rosso? A dispetto di questi canoni fissi, alcuni artisti riuscirono comunque a rinnovare e a rivoluzionare il mondo artistico. Una più ampia libertà veniva raggiunta dagli artisti progressivamente, cresceva man mano con lo sviluppo della carriera di questi. Non a caso alcuni dei capolavori più innovativi del Quattrocento furono realizzati da artisti che si trovavano alla fine della loro carriera. L’esempio più affascinante di queste opere che spezzano le regole consolidate è rappresentato dai pulpiti di Donatello per la Basilica di San Lorenzo a Firenze, realizzati durante gli anni ’60 del XV secolo.
Donato di Niccolò di Betto Bardi chiamato Donatello
Donato di Niccolò di Betto Bardi nacque a Firenze nel 1386; era figlio del cardatore di lana Niccolò di Betto Bardi. Conosciamo molto poco dell’apprendistato e della formazione di Donato, ma dalle informazioni frammentarie che possediamo possiamo supporre che egli si formò presso la bottega di un orafo. Era un orafo anche Filippo Brunelleschi, di nove anni più vecchio di Donatello: Brunelleschi divenne presto il mentore e un amico del giovane scultore. Nel 1402, dopo la sconfitta di Brunelleschi nella competizione per la seconda porta di bronzo del Battistero di Firenze, i due artisti lasciarono la città e si trasferirono a Roma dove poterono studiare le rovine dell’antichità.
L’inizio della carriera di Donatello
L’amicizia con Brunelleschi fu particolarmente importante nei primi anni di carriera di Donatello. In seguito al loro soggiorno a Roma, i due artisti collaborarono all’elaborazione della prospettiva lineare e lavorarono assieme in San Lorenzo a Firenze, progettando la cosiddetta Sacrestia Vecchia per la famiglia Medici. In questo periodo Donatello sviluppò il suo linguaggio artistico e ingrandì il ventaglio delle sue relazioni con vari committenti e patroni. In particolare egli instaurò una solida e duratura amicizia con Cosimo il Vecchio Medici: per Cosimo eseguì la statua di bronzo di David, e per il figlio di Cosimo, Piero, fece la statua, sempre in bronzo, di Giuditta, che oggi possiamo ammirare nel Palazzo Vecchio.
La maturità di Donatello e la sua Giuditta
La Guiditta, realizzata tra il 1453 e il 1457, è un’opera che apre la fase della maturità dell’artista. Già in questo lavoro Donatello dimostrò di essere un coraggioso innovatore, pronto a infrangere le regole della tradizione.
La storia di Giuditta è narrata nell’Antico Testamento. Questa coraggiosa vedova di Betulia salvò la sua città uccidendo Oloferne, il capo delle truppe assire che tentavano di invadere i suoi territori. Visto che i pochi abitanti di Betulia non potevano vincere gli Assiri sul campo di battaglia, Giuditta si recò nella tenda di Oloferne, lo ubriacò e gli tagliò la testa. Per tutto il Quattrocento la storia di Giuditta veniva letta come rappresentazione delle virtù femminili, ma, come nel caso della statua di Donatello, essa poteva trasmettere anche un significato politico: l’immagine di Giuditta che uccide un nemico e protegge la sua patria divenne così il simbolo del ruolo dei Medici e della loro azione politica volta a proteggere la Repubblica di Firenze.

Chi ammirava l’opera di Donatello era abituato all’immagine di Giuditta rappresentata nel momento successivo all’aggressione ad Oloferne: nella maggior parte delle opere che la raffiguravano, Giuditta cammina con la spada nella sua mano mentre il la sua serva porta la testa del nemico su un piatto. Donatello infranse volutamente con questa immagine, e osò mostrare la donna in azione, con la spada in mano, pronta a colpire il collo di Oloferne; il nemico, ubriaco, è totalmente inconsapevole di ciò che sta per accadergli, visto che la sua testa deve essere retta da Giuditta e le sue gambe penzolano in aria.
Questa svolta nell’iconografia non significa molto per un osservatore di oggi, ma per uno spettatore quattrocentesco questa rappresentò un’importante novità. Scegliendo di rappresentare un momento diverso della storia di Giuditta, Donatello ruppe con l’immagine tradizionale della donna. All’epoca infatti, le donne erano associate alle Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità), e quindi ira, violenza e aggressione non appartenevano all’universo femminile. Donatello, al contrario, mostrò una donna che aveva scelto di agire e di uccidere. Attraverso quest’opera possiamo dunque notare che già nel 1457 l’artista osò rompere con gli schemi iconografici consolidati e sfidare l’immaginario del suo pubblico. Durante il decennio successivo, Donatello andò anche oltre.
I pulpiti di Donatello per San Lorenzo

I due pulpiti che possiamo ammirare oggi in San Lorenzo a Firenze sono le ultime due opere realizzate dallo scultore. Il primo pulpito è dedicato alla Passione di Cristo, l’altro alla Risurrezione. Donatello non ebbe tempo di terminare le due opere, e così le lastre di bronzo non finite furono trovate nella bottega di Donatello dopo la sua morte nel 1466. Di conseguenza, Donatello non partecipò alla fase di montaggio dei pulpiti nella chiesa, visto che questi furono portati qui solo nel 1515 e vennero collocati definitivamente nella Basilica come una coppia di opere gemelle nel 1565, novantanove anni dopo la morte di Donatello[i].

La storia turbolenta di questi pulpiti e la mancanza di documenti riguardanti i possibili interventi dei seguaci di Donatello sui bassorilievi non finiti, rendono queste opere un complesso intrico da sciogliere per gli studiosi. Senza soffermarsi su questi importanti aspetti, analizziamo le due opere nel loro aspetto attuale.
I pulpiti di Donatello: giocando con l’inquadratura
Un attento osservatore dei pulpiti di Donatello nota immediatamente numerosi dettagli che attraggono l’attenzione e dimostrano un approccio audace da parte dell’artista nei confronti delle norme della tradizione iconografica e compositiva del Quattrocento.

Nei pulpiti per San Lorenzo Donatello si confrontò con l’idea dell’inquadratura. Se si guarda alla scena di Gesù che prega nel giardino dei Getsemani, rappresentata nel Pulpito della Passione, si potrà notare che Donatello posizionò gli apostoli direttamente sulla cornice. I seguaci di Gesù dormono profondamente mentre il loro maestro prega, spaventato dalla sorte che lo aspetta. I loro corpi dormienti sono raffigurati con estremo realismo: si appoggiamo sulle colonne che dividono le varie scene; le loro gambe pendono liberamente nell’aria e noi possiamo quasi sentirli russare. In questa composizione, dunque, la cornice non divide la scena rappresentata dallo spazio dello spettatore: il mondo raffigurato esce dalla cornice e invade il nostro spazio. Sembra che in questa composizione Donatello tentò di sfidare i confini tra realtà e finzione.

Nella scena della Deposizione l’artista giocò con l’inquadratura in un modo diverso. Se si osserva la composizione da vicino, dietro la scena centrale con il corpo di Gesù che viene calato dalla croce, si vedono due croci con i cadaveri di due ladri crocifissi insieme a Cristo. In realtà, noi vediamo i loro corpi solo parzialmente, visto che questi sono tagliati dalla cornice: il primo corpo è tagliato subito sopra le ginocchia, mentre l’altro è visibile fino alla spalla.
Per un osservatore contemporaneo questo taglio non sembrerà particolarmente strano: oggi siamo abituati alla fotografia e all’inquadratura fotografica che lascia fuori alcune parti della scena. Nel 1466 tutto ciò veniva percepito come un qualcosa fuori dall’ordinario perché agli artisti veniva insegnato di inserire tutti gli elementi dell’immagine all’interno della composizione. Tagliare e lasciare parti di una scena fuori dalla vista dello spettatore non era usuale.
Donatello, ancora una volta, dimostrò di essere un innovatore coraggioso che infrangeva le regole stabilite. Queste composizioni tagliate sono molto più dinamiche e i bruschi troncamenti rinforzano l’effetto realistico della scena.
Le soluzioni più innovative vennero però adottate per il pulpito della Risurrezione.
La Risurrezione.
Chi cresce in una famiglia cattolica è probabilmente più abituato alle statue di Cristo risorto che decorano le chiese nel periodo pasquale. In queste figure Gesù è rappresentato come un vincitore: il suo corpo nudo e atletico è ricoperto da una tunica; Gesù mostra una profonda ferita nel suo petto e nella mano destra tiene uno stendardo. Proprio in questo modo Cristo è stato rappresentato da Piero della Francesca nel suo celebre affresco a Sansepolcro.

L’affresco di Piero della Francesca venne dipinto tra il 1463 e il 1465: l’artista vi lavorò proprio negli stessi anni in cui Donatello lavorava ai suoi pulpiti in San Lorenzo. Tuttavia, il modo in cui i due artisti rappresentarono la medesima scena è completamente differente.

Se si osserva la scena della Risurrezione rappresentata da Donatello, si vede Gesù ancora ricoperto dal sudario, con il piede appoggiato sul sarcofago, che guarda i soldati addormentati, i quali invece dovrebbero fare la guardia alla sua tomba. Sembra che nemmeno Cristo stia realizzando ciò che gli sta accadendo: si sta svegliando dopo un lungo sonno e il suo sguardo è un po’ confuso e molto stanco; non ha ancora avuto tempo per liberarsi completamente dal sudario e dai bendaggi in cui venne deposto nella tomba.
Seguendo lo schema iconografico tradizionale, Gesù tiene in mano uno stendardo che simboleggia la sua vittoria sulla morte. Il Cristo di Donatello, però, è tutto tranne che un atletico vincitore: è molto più umano, umile e reale; non è un supereroe ma un semplice essere umano che ha appena sperimentato, sulla propria pelle, le fatiche di un viaggio attraverso l’aldilà. Nel pannello precedente Donatello aveva infatti rappresentato la Discesa di Gesù nel Limbo dove questi veniva salutato da tutti coloro che erano morti prima del suo sacrificio e dovevano, perciò, aspettare la sua risurrezione per essere salvati.
La rivoluzione di Donatello
Potreste dire: “E allora, quante chiacchiere inutili per una cosa così banale! Donatello ha semplicemente rappresentato Cristo in modo diverso, tutto qua!”. Invece no: giocare, modificare l’iconografia sacra tradizionale non è mai stato semplice: le immagini religiose, come detto, seguivano un codice ben definito che agli artisti dovevano imparare, rispettare e applicare. Proprio per questo motivo, San Pietro ha sempre in mano le sue chiavi, San Paolo una spada, San Bartolomeo un coltello e la sua pelle; Maria è sempre vestita di blue e rosso, e il Cristo risorto è mostrato come un vincitore forte e mezzo nudo. Cambiare questi schemi è sempre stato un atto rivoluzionario e un’operazione di profondo significato.
Sembra che l’anziano Donatello, quando lavorò a queste opere, avesse già acquisito il riconoscimento e l’apprezzamento del pubblico, e per tale motivo le autorità ecclesiastiche gli permisero un più ampio margine di libertà artistica. Alla fine della sua carriera Donatello sperimentò nuove soluzioni, sfidò e allargò i limiti dell’iconografia religiosa. I suoi pulpiti in San Lorenzo sono, dunque, una delle sue opere più affascinanti.

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[i] A. Butterfield, “Documents for the pulpits of San Lorenzo”, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1994, 38. Bd., H. 1 (1994), p. 149.