Cos’è la cucina italiana? Scoprilo con il tour guidato nella tradizione culinaria italiana

Cibo, storia e cultura

La storia non è solo date, nomi, guerre, vincitori e vinti, ma è anche storia degli uomini che hanno popolato il nostro pianeta, delle loro idee e dei loro pensieri, dei loro sentimenti ed emozioni, delle loro abitudini e dei diversi modi di vita. Anche la cucina, quindi, rientra a pieno titolo nella Storia: attraverso la cucina, l’interesse per il cibo e il gusto, si può comprendere qualcosa sull’uomo, sulle sue abitudini e sui suoi modi di pensare.

Questo, forse, è vero soprattutto per quanto riguarda la cucina italiana: non solo perché per gli Italiani il cibo, la buona cucina, il sedersi a tavola in famiglia e in compagnia degli amici sono una cosa sacra, ma soprattutto perché l’Italia è ricca di storia e storie, di popoli e dominazioni, di usi e costumi, profumi e sapori che si sono mescolati tra loro e influenzati a vicenda.  

In realtà tutto il Mediterraneo (Mare Nostrum per gli antichi Romani) è da millenni un mare di scambi: di persone, di merci e di commerci, di racconti (per esempio i miti), di lingue e culture, e quindi anche di cibi e spezie. Cosa sarebbe stata Venezia, per esempio, senza il commercio delle spezie?

Ma possiamo parlare di una cucina italiana? Forse la cucina italiana non è altro che la somma di tante cucine delle diverse città e dei diversi territori della penisola. Sicilia e Trentino, per esempio: nord e sud, mare e montagna, isola separata dal continente e territorio che guarda al nord Europa, pesce e polenta. Cosa possono avere in comune queste due regioni?

Ecco allora un piccolo tour in poche tappe attraverso il cibo e l’Italia, i piatti della tradizione e dell’innovazione, attraverso le papille gustative di generazioni di popoli che hanno convissuto e si sono mescolati nella Storia e nella vita della nostra penisola.

La pasta e gli italiani “mangiamaccheroni”

Carracci, Mangiapasta
Luca Giordano, Mangiatore di pasta, 1660 ca., Princeton University Art Museum.

Chi non penserebbe che la pasta non sia nella tradizione culinaria italiana da sempre? E invece no. La pasta ha la caratteristica importantissima di essere un prodotto essiccato, quindi ottimo per essere conservato a lungo, e, nella nostra epoca, perfetto per essere prodotto a livello industriale e distribuito in tutto il mondo.

Ma sono gli arabi che hanno inventato la tecnica di essiccazione della pasta, per garantirsi di che mangiare nei loro lunghi viaggi nel deserto! E non è un caso se è dalla Sicilia, vero crogiolo di culture e fortemente influenzata dalla cultura araba, che è partita la produzione “industriale” della pasta secca, un prodotto che pian piano cominciò ad essere esportato dagli italiani, dalle città di commerci marittimi, in tutto il Mediterraneo.

E non è un caso se sono le regioni senza sbocchi sul mare, come la Lombardia e l’Emilia, che per secoli hanno mantenuto e continuano a mantenere la tradizione della pasta fresca al posto di quella essiccata.




Per la cucina italiana la pasta deve essere al dente!

In Europa o in altre parti del mondo la pasta viene spesso mangiata scotta e come contorno ad altre pietanze, come la carne. Agli Italiani questa pratica fa inorridire!

Nella cucina italiana la pasta la si DEVE mangiare al dente e non come accompagnamento ad altri cibi. Ma non è sempre stato così, e di questo gli Italiani si meraviglieranno: nelle cucine più ricche, quelle dei nobili, la pasta era usata come contorno ed era scotta, mentre dai più poveri, che non potevano permettersi la carne o altri cibi, la pasta veniva mangiata da sola. Quindi la pratica odierna di mangiare la pasta come portata a sé stante si è imposta per necessità, e nel passato, almeno fino al ‘600, era segno di povertà. L’abitudine di mangiare pasta, quindi, per gli Italiani, non è affatto scontata, ma dipende dall’epoca, dalla regione e dallo status socio-economico.

tortellini
La pasta fresca a Bologna – la regina della cucina italiana.

Altra curiosità: la pasta è un piatto salato. Ma lo era anche nel passato? Assolutamente no! Nel Medioevo e nel Rinascimento la pasta veniva accompagnata da zucchero e spezie dolci! Quanto lontana dal nostro gusto è la cucina italiana della tradizione più antica…

De gustibus

Ecco che, quindi, possiamo fare ora un piccolo ragionamento sul gusto alimentare delle persone. Il gusto “degli Italiani”, dei “Francesi” eccetera, è sempre uguale a sé stesso, non varia nel tempo, o invece muta nel tempo, con le abitudini, le mode e le innovazioni?

Consideriamo che i Romani condivano quasi tutti i cibi con aceto e miele assieme; poi gli arabi portarono il gusto per l’aspro degli agrumi, che venne abbinato al dolce dello zucchero di canna. Nel Medioevo si imposero le spezie che erano costose e un lusso, quindi il loro abbondante uso in cucina, per i ricchi, divenne una specie di modo per manifestare la ricchezza; nella cucina dei poveri, invece, si impose il gusto del salato in quanto il sale era, ed è oggi, un modo ottimo per conservare a lungo il cibo.

Quanti gusti diversi per palati sempre differenti! Questi sono solo alcuni esempi di come il gusto viene influenzato, o forse è la conseguenza, di mode, di necessità alimentari, di scambi culturali e commerciali.

Paolo Veronese, Nozze di Cana
Paolo Veronese, Nozze di Cana, 1563, Louvre, Parigi.
Su questo dipinto Veronese ha rappresentato un ricco banchetto aristocratico del Rinascimento con abbondanza di cibo, vino e musica.

Il primo “comandamento” della cucina italiana: distinguere i sapori

Sempre a proposito di gusto, gli Italiani oggi mangiano i loro piatti separando nettamente i sapori e i gusti: per esempio il dolce va separato dal salato, in uno stesso piatto non si mescola un sapore con l’altro, il dessert è una portata che non può che stare alla fine del pasto; a nessun italiano verrebbe mai in mente di cambiare l’ordine delle portate, mangiando, per esempio, la pasta dopo un arrosto, o di abbinare la pizza con l’insalata, le tagliatelle con il cappuccino. A chi vive a Firenze fa sempre tanto effetto vedere gli stranieri e i turisti al ristorante che ordinano degli accoppiamenti del genere.

Ci sono, però, delle eccezioni, nella cucina italiana, in merito alla separazione dei sapori: pensiamo alla mostarda di Cremona. Fatto sta che, generalmente parlando, in Italia oggi i sapori sono tenuti separati e distinti tra loro, perché ciascuno di essi venga esaltato. In realtà questo discorso andrebbe allargato all’Europa di oggi in generale, in cui le diverse cucine distinguono i sapori naturali dei cibi, e non li mescolano più l’uno con l’altro.

Eppure in Italia, nel passato, si mescolavano i sapori: nell’età romana, nel Medioevo e nel Rinascimento, i piatti vedevano una mescolanza di sapori perché si pensava che un piatto dovesse tenere insieme tutti i gusti possibili, tutti i sapori, il dolce, il salato, l’agro e tutti gli altri. Un piatto, quindi, non doveva rispecchiare, come si pensa oggi in Italia, il suo sapore naturale, ma un sapore creato e inventato “artificialmente” dal cuoco e dalla ricetta, un sapore che è diverso da quello “naturale” di un ingrediente. Nel passato, in Italia, come detto, le tavole dei ricchi vedevano ogni pietanza coperta di zucchero e spezie, in cui i sapori si mescolavano.

Come è avvenuto il cambio di gusto che ha portato all’usanza di oggi?

Carracci, Mangiafagioli
Annibale Carracci, Mangiafagioli, 1584-1585, Galleria Colonna, Roma.

Nel ‘600 la Francia portò a una rivoluzione gastronomica, che rigettava l’idea della cucina che mescolasse i sapori, coprisse le pietanza con tante spezie e molto zucchero, e affermò l’importanza dell’assaporare il sapore distinto di ogni singolo piatto e cibo. E visto che la Francia dal ‘600 divenne una potenza egemone in Europa, essa iniziò a dettare mode e a rappresentare un modello di cultura e raffinatezza: e così in gran parte dell’Europa le mode gastronomiche furono influenzate dai modi “nuovi” francesi.

Ma ci sono anche altre osservazioni da fare. Nel ‘600 le spezie divennero molto più economiche rispetto al passato, disponibili e accessibili a tutti: per questo ora, perdendo il loro significato di status-symbol, iniziarono a essere molto meno usate. Al posto delle salse di accompagnamento alla carne o ad altre vivande, si iniziò a usare l’olio, oppure i “contorni”, ossia le verdure di accompagnamento al secondo piatto; lo zucchero divenne poi l’ingrediente principale di una portata a parte, alla fine del pasto, e non un ingrediente da inserire in ogni portata.

Qualcosa dell’usanza medievale sopravvisse, comunque, ma nella cucina contadina, in un qualche modo non influenzata dalle mode: basti pensare alla già citata mostarda di Cremona, una salsa agrodolce che serve da accompagnamento al bollito di gallina e carni varie, e che modifica significativamente il gusto della pietanza.




Mescolare: perché?

Se il gusto cambia, più che comprendere il perché della nuova moda francese, è interessante chiederci come mai prima si mescolavano e combinavano i sapori e gli ingredienti in modi per noi oggi insoliti.

Per tutto il Medioevo, e fino alla scienza moderna, la cucina doveva rispecchiare i quattro elementi dell’universo (fuoco, aria, terra, acqua). Per la scienza dell’epoca qualunque cosa del mondo è frutto della combinazione di caldo, freddo, secco e umido, ogni essere deve possedere nel proprio organismo un equilibrio di questi fattori (caldo, freddo, secco e umido). Quindi anche il cibo che si mangiava doveva essere equilibrato: un ingrediente non equilibrato andava modificato, corretto, o con altri ingredienti di abbinamento, o con la cottura, affinché potesse essere davvero salutare per chi lo mangiava in una pietanza.

Giardino di Minerva, Salerno
Giardino di Minerva, Salerno – in questo giardino medievale le piante aromatiche crescono in cerchi divisi in quattro parti secondo la logica dei quattro elementi. Ogni pianta è caratterizzata dalla prevalenza di uno degli “umori”: caldo, freddo, secco o umido.

Per questo, nel passato, vari frutti erano guardati con sospetto, perché freddi e umidi, come le pere, e per mangiarli dovevano essere abbinati a cibi che potessero “riscaldarli”: ecco perché l’abbinamento perfetto per le pere era il formaggio, caldo e secco. Da qui dunque deriva il detto “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.

Il gusto, quindi, in questo caso, veniva influenzato e poi si imponeva come conseguenza di una “legge” di salute e di medicina. Da qui nasce anche il famoso e amatissimo abbinamento del prosciutto con il melone: caldo e secco abbinato al freddo e umido. Un perfetto equilibrio di fattori che “crea” il gusto condiviso da tutti per un perfetto equilibrio di sapori.

Domenico Ghirlandaio, Ultima Cena, Ognissanti
Domenico Ghirlandaio, Ultima Cena, 1480, Ognissanti. Firenze.
Un recente studio di Allen Grieco, pubblicato nel volume Food, Social Politics and the Order of Nature in Renaissance Italy, svela l’importanza della teoria dei quattro elementi per la tradizione enologica del Rinascimento. Le tracce di queste teorie si trovano anche nei dipinti che raffigurano le Ultime Cene e mostrano gli abbinamenti tra il vino e il cibo.

Non trovate affascinante il fatto che dietro ogni piatto si celi una storia? Attraverso i sapori possiamo riconnetterci con le persone che secoli fa viaggiavano attraverso il Mediterraneo, portando con loro vari prodotti delle loro terre che, strada facendo, diffondevano.

Basta andare ad un mercato per scoprire infinite storie legate a ciò che mangiamo. Sicuramente il nostro viaggio attraverso i sapori italiani continuerà anche nel futuro…


Vuoi scoprire la storia della Toscana attraverso il cibo? Contattami! Sarò felice di organizzare il tuo tour privato!