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Come il rapporto tra Milano e Firenze ha cambiato la storia dell’arte
Sappiamo che l’Italia è uno stato giovane. Prima dell’unità la penisola era divisa tra diversi stati che spesso si scontravano tra loro. La Serenissima, il Ducato di Milano, lo Stato della Chiesa oppure il Regno di Napoli erano rivali e competevano tra di loro anche attraverso la sfida nel primato artistico. Allo stesso tempo si è sempre avvertita una sostanziale unità culturale tra gli Stati della penisola, dovuta al comune patrimonio della civiltà romana, a comuni interessi politici, e anche agli scambi di persone, di merci, di racconti, di lingue e culture: tra questi vari ambienti c’è sempre stato un continuo movimento di persone, di idee e di stili.
Oggi possiamo esplorare l’Italia in cerca di questi legami, creando una mappa dei viaggi e delle esperienze degli artisti: possiamo cercare Michelangelo a Roma, Donatello a Padova e Verrocchio a Venezia.
Nel corso del Quattrocento il Ducato di Milano fu uno dei protagonisti chiave sulla scena politica italiana e gli intensi contatti tra i Medici e la corte milanese portarono a uno scambio di politiche, merci, artisti e idee.
Ultimamente mi sono soffermata su questo argomento e volevo indagarlo più a fondo. Perciò, ho chiesto ad un mio collega, Giacomo Zavatteri, uno storico dell’arte milanese e guida turistica, di dirci qualcosa in più sul legame tra le due città.
Come Firenze influenzò Milano? Come Milano influenzò Firenze? Scopriamolo assieme attraverso l’articolo di Giacomo:
Tutti conoscono l’importanza di Firenze nella storia dell’arte, da qui vengono Cimabue e Giotto, qui è nato il Rinascimento, senza la città toscana non avremmo mai avuto Donatello, Brunelleschi, Leonardo da Vinci e Michelangelo, vivremmo in un mondo molto diverso.
Molte meno persone conoscono invece l’importanza del rapporto tra la cultura nata e fiorita a Firenze e quella che si è sviluppata nel nord Italia e a Milano tra tardo medioevo e rinascimento.
Giotto a Milano
Tra il 1335 ed il 1336 Giotto visse a Milano, lavorando alla corte dei Visconti. Purtroppo non rimane nulla delle opere che dipinse nel palazzo di corte, ora Palazzo Reale, ma i suoi dipinti furono fondamentali per trasformare l’arte nella nostra regione. Se si visita la chiesa di corte di San Gottardo si possono ammirare i resti di una meravigliosa Crocefissione che presenta tutte le innovazioni della pittura giottesca, cioè un maggiore interesse verso la volumetria dei corpi e spiccato realismo dei ritratti. Questa è sicuramente opera di un artista che aveva avuto un contatto diretto con il maestro toscano e la sua arte.

Ma Giotto non fu il primo e non sarà l’ultimo dei grandi artisti che in quegli anni partirono dalla Toscana per lavorare a Milano. Si pensi allo scultore Giovanni di Balduccio, proveniente da Pisa, che realizza nella nostra città il suo capolavoro: l’Arca di San Pietro Martire nella Cappella Portinari in Sant’Eustorgio.

Arte e politica alla corte dei Visconti
Tra ‘300 ed inizi del ‘400 a Milano infatti si stava realizzando un grandioso programma politico, i signori della città, i Visconti, stavano cercando di ottenere la supremazia assoluta nel nord della penisola. Il riconoscimento imperiale del titolo di Duca di Milano a Gian Galeazzo Visconti nel 1395 doveva essere solo il primo passo del grande sogno finale: ricostruire il Regno d’Italia e reclamarne la corona.
Questo ambizioso progetto politico, che mirava a mettere alla pari i Visconti con le più grandi dinastie reali europee, doveva essere glorificato e comunicato con tutto lo splendore dell’arte. Milano divenne per quasi un secolo polo di attrazione dei migliori artisti e ponte tra la cultura tardogotica europea e le innovazioni che venivano dalla Toscana. Nei grandi cantieri lombardi si confrontavano artisti imbevuti degli splendori del gotico internazionale e i rivoluzionari portatori delle novità fiorentine.
Sul realismo e la tridimensionalità della cultura di Giotto viene innestato un amore per l’espressione dei sentimenti, dettagli minuziosi ed una sfrenata passione per i sentimenti così tipici della cultura nordica.
I dipinti cortesi dell’Oratorio Porro di Mocchirolo, ora conservati nella Pinacoteca di Brera, ne sono uno degli esempi più alti. Il Conte Porro, consigliere di Gian Galeazzo Visconti, viene rappresentato con un realismo che non sfigura affatto di fronte alla ritrattistica rinascimentale.

Il meraviglioso Padre Eterno realizzato nel 1425 come chiusura della serraglia del coro del Duomo di Milano rappresenta l’apice di questa prima fase di confronto tra la cultura toscana e quella lombarda.
La tecnica dell’oreficeria, l’autore fu l’importante orafo Beltramino De Zutti, esalta l’espressività di questa scultura, si vedano i riccioli del Creatore vibrare sotto i riflessi della luce, ma gli occhi fanno trasparire una ricerca della fisiognomica ed una espressione dei sentimenti che raccoglie l’eredità della grande tradizione culturale derivata da questo confronto tra l’area padana e Toscana e ci lancia ormai verso il Rinascimento maturo. Questa è un’opera che non poteva nascere a Firenze ma solo a Milano.

Ludovico il Moro e Bramante
Facciamo un piccolo salto temporale e ci spostiamo nell’Italia dell’ultimo decennio del XV secolo.
La stella del panorama politico dell’epoca fu Ludovico il Moro; dopo la morte di Lorenzo il Magnifico il signore di Milano sembrò raccoglierne il testimone come arbitro delle vicende italiane. Artisti come Bramante e Leonardo da Vinci giunsero nella nostra città con l’intento di lavorare per il Duca Sforza.
La città che si trovarono di fronte era reduce dal confronto tra la prima ondata di artisti che avevano portato lo stile rinascimentale a Milano, come Antonio di Pietro Averlino detto il Filarete, ed il fiorire della scena locale profondamente influenza dalla cultura proveniente da Padova e da suggestioni nordiche, fiamminghe e borgognone. Si pensi a grandi artisti come Foppa, Zenale ed Bergognone in grado di eseguire opere di estrema eleganza padroneggiando le tecniche del Rinascimento più raffinato.

Ludovico il Moro quando prende in mano il potere ha in mente un progetto molto ambizioso. Le novità provenienti da Firenze dovevano fare da cassa di risonanza alla gloria del “principe” che avrebbe spazzato via gli stranieri dall’Italia e riportato la penisola agli antichi splendori. La chiesa di Santa Maria delle Grazie, progettata da Bramante come il mausoleo di famiglia ed il refettorio dipinto da Leonardo rappresentano l’apice di questo ambizioso progetto politico.
L’impresa di Santa Maria delle Grazie è particolarmente significativa per raccontarci ancora una volta questo confronto tra la cultura fiorentina e quella milanese. Bramante inizia il progetto facendo riferimento al monumento esemplare del Rinascimento fiorentino: la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo progettata dal Brunelleschi. L’ambizione del Moro porta, però, Bramante a confrontarsi con modelli di chiese “imperiali” come Santa Sofia di Costantinopoli, che riprenderà anche nel grandioso progetto del Duomo di Pavia, ma anche da riferimenti milanesi come San Lorenzo Maggiore.

Pochi sanno che quest’ultima chiesa fu costruita nel periodo del tardo impero romano, forse come cappella palatina, sicuramente collegata con il potere imperiale romano. Come poteva l’ambizioso Duca di Milano resistere al confronto con i più grandi imperatori del passato? Le maestranze lombarde completano il progetto del Bramante rivestendo la cupola con un tiburio, cioè una struttura esterna in muratura coperta da un tetto piramidale, che è copia esatta della tribuna medievale di San Lorenzo Maggiore.

Leonardo a Milano
Anche Leonardo da Vinci non poteva rimanere insensibile alla raffinata cultura trovata a Milano.
L’amore per l’osservazione della natura, per il dato sensibile presente nell’artista toscano trova terreno fertile in una tradizione locale ispirata alla cultura aristotelica, dove l’osservazione della realtà non era mai stata dimenticata. Grazie a questo confronto Leonardo diventa lentamente milanese. I sentimenti e l’espressione dei “moti dell’animo”, la più grande rivoluzione del Cenacolo Vinciano, sono qualcosa che Leonardo da Vinci poteva apprendere solo nella nostra città, pescando da una tradizione plurisecolare.

A Milano Leonardo può comprendere come la perfezione neoplatonica, così tipica della cultura fiorentina sotto i Medici, che ordinava l’universo secondo regole elaborate dalla razionalità umana, non bastava più a rappresentare la realtà del creato. La perfetta composizione prospettica inventata a Firenze ora si modifica grazie ad un attento studio dell’anatomia dell’occhio umano. Le linee si deformano, i punti di fuga si moltiplicano come in un dipinto fiammingo e la composizione si arricchisce di correzioni ottiche.

Infine i minuziosi studi di fiori e piante di Leonardo per la Sala delle Asse e la Leda sembrano riprendere i dettagli tardogotici di Pisanello o Michelino da Besozzo, oppure le miniature di Giovannino De Grassi. Appartengono a quel mondo culturale che unisce le Fiandre con la Toscana passando per la pianura padana e la Borgogna, le vie dell’arte seguono le rotte dei grandi commerci.

Come per sancire definitivamente questa “milanesizzazione” di Leonardo da Vinci nei suoi scritti compaiono termini di origine lombarda che testimoniano l’assorbimento della nostra cultura.
Il Leonardo da Vinci che torna a Firenze agli inizi del 1500, dopo quasi 20 anni trascorsi a Milano è molto cambiato, la sua arte si è evoluta in modo rivoluzionario.

La differenza culturale tra il giovane Michelangelo ed il vecchio maestro emerge violenta nelle due battaglie che dovevano essere dipinte nella Sala del Gran Consiglio in Palazzo Vecchio a Firenze.
Se Michelangelo pesca a piene mani dalla cultura “classica” toscana, filtrata anche dalla plastica gotica presente nella sua regione, la Battaglia di Anghiari immaginata da Leonardo rompe violentemente con questo mondo culturale. Quello che ci rimane del progetto è un vortice impetuoso, uno scontro violento tra personaggi dominati e travolti dalla “pazzia bestialissima” della guerra, come la definitiva Leonardo stesso. Qui i moti dell’animo sembrano trascinare l’uomo, il mondo non si conforma più all’ordine divino ma diventa il campo di battaglia di una terribile lotta. Questo non mancherà di influenzare un artista intelligente e sensibile come Michelangelo.

Il genio maturo di Leonardo ci apre quindi a nuove strade, nuove possibilità per l’arte, che verranno percorse nei secoli successivi. Lo stesso Caravaggio non esisterebbe senza la grande lezione del Leonardo da Vinci “milanese”, ma questa è un’altra storia…
testo di Giacomo Zavatteri
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