I “Medici” e la vita di una famiglia nel Rinascimento

Come Lucrezia Tornabuoni sceglie una moglie per Lorenzo Il Magnifico

Avete mai guardato qualche episodio della serie “I Medici”? La prima stagione di questa serie televisiva italo-americana è stata trasmessa nel 2016 ed è ispirata alla storia della famiglia Medici e alla loro ascesa al potere e al controllo della città di Firenze nel ‘400. Visto che io non guardo quasi mai la TV, in un primo momento l’ho ignorata completamente, finché non mi sono accorta che molti miei ospiti hanno iniziato a prenotare il mio tour dedicato alla storia dei Medici proprio perché incuriositi dalla serie. Spesso molti di loro mi hanno poi chiesto se i fatti presentati nella fiction ricalcavano la verità storica dei fatti: allora io ho dovuto deluderli. Questa è la storia di come ho scoperto che la serie è solo liberamente ispirata a ciò che accadde realmente nella Firenze del Rinascimento e la sua trama è, per lo più, una pura invenzione degli sceneggiatori.

Richard Madden
Richard Madden ricopre il ruolo di Cosimo il Vecchio nella serie. Photo credit: Gage Skidmore.

Storia pressoché inventata della famiglia Medici

La scorsa settimana mi sono dedicata a guardare la prima stagione di “I Medici”: volevo capire meglio come la storia di Firenze venisse presentata nella serie TV e volevo verificare se e come gli autori fossero riusciti a trasmettere lo spirito dell’Italia e dei suoi abitanti nel XV secolo. Dopo aver guardato tutti gli episodi, devo ammettere che non è una serie mal fatta, anzi, ma ho avuto la conferma che i riferimenti alle vicende dei Medici sono un po’ “creativi”. In effetti i nomi dei personaggi della serie si riferiscono a nomi di personaggi storici realmente esistiti, come i membri della famiglia Medici, gli artisti fiorentini, i membri dell’oligarchia fiorentina e del patriziato della città: la questione è, dunque, che ciò che accade a questi personaggi “storicamente fondati” è puro frutto di fantasia.

Pontormo, Ritratto di Cosimo il Vecchio, 1519-1520, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Ho scoperto, così, molte incongruenze e molte mezze verità narrate nella serie. Potrebbe sembrare paradossale e bizzarro, ma l’evento principale attorno al quale si sviluppa la prima serie, ossia l’assassinio di Giovanni di Bicci, non è mai accaduto! Giovanni, che aprì la banca dei Medici nel 1397, morì, infatti, di morte naturale nel 1429 all’età di 69 anni, un’età avanzata per quell’epoca. Suo figlio Cosimo consolidò il potere della famiglia a Firenze e supportò molti giovani artisti interessati alla rinascita dell’antichità classica, ma non sovvenzionò mai la costruzione della cupola del Duomo progettata da Brunelleschi, come invece mostra la serie. Il fratello di Cosimo, Lorenzo di Giovanni, fu un importante membro della famiglia, e il suo assassinio messo in scena nella serie TV è probabilmente una delle più esilaranti invenzioni degli sceneggiatori: paradossalmente, furono proprio i discendenti di Lorenzo che ressero la Toscana per secoli, non quelli di Cosimo! Furono loro a ascendere al potere dopo la morte di Alessandro de’ Medici, il primo duca di Firenze, nel 1537. Cosimo I de’ Medici, che creò il Granducato di Toscana, che conquistò e sottomise Siena e Pisa nel XVI secolo, era bisnipote di Lorenzo. Quindi, davvero non comprendo il motivo per il quale nella serie Lorenzo venga fatto morire ancor prima di aver potuto generare dei figli: non ha proprio senso…

 “I Medici” sono una serie TV, ed è ben comprensibile che gli autori abbiano la necessità di introdurre gli ingredienti dell’azione e della suspense: per questo ci sono molti assassinii e imboscate.




Famiglia  e amore nel Rinascimento

Tuttavia – ed è ciò che più colpisce – le incongruenze storiche riguardano anche, e soprattutto, la mentalità, il modo di comportarsi e la visione del mondo incarnati dai personaggi della serie TV che non riflettono la mentalità di un uomo del Rinascimento. Anzi, per rendere la fiction più stuzzicante per uno spettatore contemporaneo, le relazioni tra i personaggi riflettono la nostra concezione contemporanea dell’amore e del vincolo coniugale. Viene, infatti, mostrata un’eccessiva gelosia nei rapporti amorosi e le mogli chiedono fedeltà ai loro mariti: piangono, si disperano, spesso tradiscono i loro mariti e baciano pure altri uomini. Appare tutto così vero e… attuale e moderno! Ma davvero queste relazioni erano così come appaiono e vengono narrate? Sicuramente no!

Scheggia, Cassone Adimari
Lo Scheggia, il cosiddetto Cassone Adimari che mostra una scena di matrimonio nella Firenze del XV secolo, 1450 circa, Galleria dell’Accademia, Firenze.

Durante il XV secolo, in realtà, ogni tipo di relazione sociale era fortemente ritualizzata, attuata secondo un cerimoniale rigido che seguiva norme e prescrizioni inderogabili: tutto questo regolamentava amicizia, amore, matrimonio, legami familiari, paterni e materni. Di conseguenza, sentimenti e emozioni erano espresse sempre in un modo codificato, in una forma che seguiva precisi schemi retorici: come afferma Trexler, “non c’era sincerità senza forma e non c’era forma senza sincerità” [1]. Un insieme di regole codificate disciplinava sempre le interazioni tra membri di una famiglia: ciò non significa che le persone non provassero sentimenti e emozioni, ma che le persone li esprimevano in modo molto differente da come lo facciamo noi oggi e le loro aspettative e attese verso le relazioni sociali, e, soprattutto, familiari, erano del tutto diverse.  

Inoltre, alla base di ogni vincolo sociale significativo e duraturo, come amicizia e amore coniugale, c’era una precisa valutazione in termini di utilità, vantaggio e convenienza sociali. Pertanto, per ogni uomo, lo scopo del matrimonio consisteva nell’ottenere da esso un rilevante vantaggio sociale. Il ruolo delle donne, dunque, era piuttosto debole e marginale, e per questo la famiglia della sposa doveva provvedere a una cospicua dote che attirasse l’attenzione di uno sposo rispettabile e “interessante”. Spesso le donne erano così obbligate a sposare uomini di rango sociale inferiore, mentre gli uomini potevano spesso sfruttare il matrimonio come ascensore sociale per elevare il loro status. Questo è il caso del pittore Domenico Ghirlandaio, figlio di un artigiano fiorentino, che, nel 1480, sposò la sua prima moglie, Costanza. La misura della dote di costei, 1000 fiorini [2], ci indica che Domenico si unì, tramite il matrimonio, a una famiglia del patriziato di Firenze; sappiamo inoltre che egli sfruttò questa relazione per entrare nel circolo dei ricchi mercanti e banchieri fiorentini, suoi potenziali clienti. Il suo matrimonio rivestì, dunque, un ruolo fondamentale nel suo successo sociale e professionale nella Firenze della sua epoca.

Tuttavia, quando si cercava una buona moglie per un uomo, il denaro non era l’unico fattore che contava. Uno dei più interessanti documenti riguardanti la vita della famiglia Medici, che ci permette di entrare nella sua vita ed economia domestica e di comprendere le ambizioni politiche e sociali dei suoi membri, è la lettera che la madre di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, mandò a suo marito Piero de’ Medici dopo aver incontrato la futura sposa di Lorenzo, Clarice Orsini. In che modo Lucrezia ha scelto la moglie per Lorenzo? Scopriamolo leggendo alcuni brevi passi di questa lettera:

Domenico Ghirlandaio, Visitazione della Cappella Tornabuoni, Lucrezia Tornabuoni è la donna vestita di blu alla destra della scena, 1485-1490, Santa Maria Novella, Firenze.

Lucrezia Tornabuoni a Piero de’ Medici

“[…]

Giovedì mattina, andando a San Piero, mi riscontrai in madonna Madalena Orsina, sorella del Cardinale, la quale avea seco suo figliuola, d’età d’anni 15 in 16. Era vestita alla romana, co ‘I lenzuolo; la quale mi parve in quello abito molta bella, bianca e grande: ma perche la fanciulla pure era coperta, non la potè’ veder a mio modo. Acadde ieri che andai a vicitare il prelato monsignor Horsino, il quale era in casa la prefata suo sorella, che entra in nella sua ; quando, […], vi sopragiunse la prefata suo sorella, colla detta fanciulla; la quale era in una gonna istretta alla romana, e sanza lenzuolo:

[…].

La quale, come dico, è di ricipiente grandezza, e bianca, et à si dolce maniera, non però si gentile come le nostre: ma è di gran modesta, e da ridulla presto a nostri costumi. Il capo non à biondo, perchè non se n’à di qua: pendono i suo capegli in rosso, e n’à assai. La faccia del viso pende un po’tondetta, ma non mi dispiace. La gola è isvelta confacientemente, ma mi pare un po’ sotiletta, o, a dir meglio, gentiletta. Il petto non potemo vedere, perchè usano ire tutte turate: ma mostra di buona qualità. […] La mano à lunga e isvelta.

[…]

La fanciulla è figliuola, per padre, del signore Iacopo Horsino da Monte Ritondo, e, per madre, della sorella del Cardinale. À duo fratelli: l’uno fa fatti d’arme, ed è col signore Orso in buon istima: l’altro è prete sodiacano del Papa. Ànno la metà di Monte Ritondo: I’ altra metà è di loro zio, el quale a duo figliuoli maschi et tre femine. Ànno, oltre a questa metà di Monte Ritondo, tre altre castella, propio de’ fratelli di costei: […]. [3]

Leggendo questa lettera, possiamo capire che cosa contasse davvero nella scelta di una moglie. Prima di tutto, Lucrezia osservò Clarice con attenzione e il loro primo e brevissimo incontro non fu sufficiente a Lucrezia per decidere se la ragazza fosse o meno una valida candidata per suo figlio. Successivamente la futura suocera esaminò Clarice per capire se lei fosse in salute: è per questo che scrisse a Piero che la ragazza era abbastanza florida e aveva molti capelli. La valutazione dello stato di salute era chiaramente ricollegato all’esame della fertilità della fanciulla e alla sua capacità di generare un erede maschio. Ed è proprio per questo motivo che Lucrezia si dispiacque di non aver potuto osservare per bene il petto di Clarice che sembrava, comunque, ad una prima occhiata, di “discreta” qualità.

L’ideale di bellezza femminile nella Firenze del Rinascimento

Ciò che trovo davvero interessante in questa lettera è che il canone di bellezza femminile che Lucrezia aveva in mente corrisponde all’immagine femminile ideale influenzata dalla poesia fiorentina del XIV secolo e fissata dall’immaginario dei poeti: la Beatrice di Dante, la Laura di Petrarca, la Fiammetta di Boccaccio erano sempre descritte come “gentili”, umili e “oneste” e il loro modello di bellezza includeva capelli biondi e figura snella e slanciata. Sicuramente Lucrezia, donna di cultura che conosceva approfonditamente la poesia delle “tre corone”, teneva ben presente questo modello ideale quando cominciò a cercare una sposa per Lorenzo. Come ben sappiamo, anche oggi la maggioranza delle donne in giro per l’Italia non corrisponde all’ideale biondo e angelico della tradizione letteraria: è molto più facile incontrare avvenenze mediterranee che ricordano il modello di Sophia Loren e Anna Magnani! Forse è proprio per questo motivo che nella lettera di Lucrezia possiamo leggere scarso entusiasmo riguardo a Clarice: lei stava cercando una “donna angelo” mentre ha trovato una donna mediterranea

Sandro Botticelli, Ritratto idealizzato di donna (forse il ritratto di Simonetta Vespucci), 1480 circa, Städel Museum, Frankfurt am Main. Il ritratto costituisce un perfetto esempio di bellezza femminile idealizzata così com’era concepita nella Firenze del ‘400.

Il matrimonio come istituzione sociale

Come contraccambio dei suoi capelli scuri, Clarice poteva d’altra parte contare sul supporto della ricchezza e della posizione sociale della sua famiglia. Questo aspetto era di rilevante importanza, tanto che, subito dopo averla descritta nell’aspetto fisico, Lucrezia fa un resoconto delle posizione e delle proprietà di tutti i membri maschili della famiglia, del padre, dei fratelli e degli zii. In effetti il fatto che uno degli zii di Clarice fosse un cardinale e che la famiglia possedesse l’intero borgo di Monte Rotondo apparì sicuramente  molto più allettante, agli occhi di Lucrezia, del colore dei capelli di Clarice.

Come possiamo notare, la decisione in merito al matrimonio fu presa dalle rispettive famiglie dei futuri sposi: come racconta Lucrezia, Lorenzo vide Clarice per la prima volta durante la sua permanenza a Roma e credeva di poter condividere con il padre la sua opinione sulla ragazza. Noi non sappiamo quali furono le sue impressioni su Clarice, tuttavia sappiamo bene che la decisione finale sul matrimonio fu presa dai genitori degli sposi.

Domenico Ghirlandaio, Ritratto di Clarice Orsini (?), 1494 circa, National Gallery of Ireland, Dublin.

Lorenzo sposò Clarice nel 1469. I due ebbero sette figli, uno dei quali, Giovanni de’ Medici, divenne papa con il nome di Leone X. Lo scopo della loro relazione, dunque, si realizzò: i Medici accrebbero il loro potere e la loro influenza anche nella sfera di Roma, la nascita di una discendenza garantì la prosecuzione del lignaggio e la futura ascesa dell’egemonia europea dei Medici. La felicità dei protagonisti di questa storia, perciò, non è dipesa dalla loro soddisfazione personale e intima, ma piuttosto dal successo sociale dell’intera famiglia.

Non è semplice comprendere le dinamiche che regolavano la vita delle famiglie del Rinascimento. Tuttavia, dobbiamo sempre ricordarci che in una società dove sono operanti ferree regole e precisi rituali, le emozioni, le speranze e i modi di comportarsi sono molto differenti da quello che noi oggi consideriamo “la norma”. Se la storia può sembrare più noiosa di una serie TV, sicuramente è molto più complessa. Ed è per questo che io la trovo affascinante!


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[1] R. Trexler, Public Life in Renaissance Florence, New York 1980, p. 132.

[2] J. Cadogan, “An «Huomo di Chonto». Reconsidering the Social Status of Domenico Ghirlandaio and His Family”, Zeitschrift für Kunstgeschichte, I, 2014, p. 34.

[3] Lucrezia Tornabuoni, Tre lettere di Lucrezia Tornabuoni a Piero de’ Medici ed altre lettere di vari concernenti al matrimonio di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini, ed. by Cesare Guasti, Firenze, 1859, pp. 9-10.